Il Cicloviaggiatore

Viaggiare in bicicletta è una delle massime espressioni di libertà personale. Il cicloviaggiatore passa le giornate in mezzo alla natura, abbastanza veloce da poter cogliere il mutare rapido del paesaggio, ma al contempo sufficientemente lento da apprezzare a pieno gli scorci che si susseguono dinnanzi ai suoi occhi.

Il cicloviaggiatore pedala e si lascia alle spalle le preoccupazioni della società moderna, ricca di frenesie e ansie per ritornare a quello stato primordiale in cui prevalgono i suoi bisogni essenziali. “Dove andrò a dormire? Cosa mangerò? Troverò da bere? Che strada devo fare? Con chi potrò comunicare?” Una fuga dall’uomo oeconomicus verso quei valori di base che caratterizzato l’essenza stessa dell’essere umano.

In sella alla sua bicicletta, il cicloviaggiatore ha la possibilità di vivere il territorio in maniera privilegiata, attivando tutti e cinque i sensi. Oltre alla vista mozzafiato, infatti, ha la possibilità di cogliere le intense note aromatiche della macchia mediterranea. Riesce a percepire il sapore della salsedine che si accumula nell’aria o della polvere che si eleva dagli sterrati. Sente sulla sua faccia il vento gelido dei monti e la pioggia battente che lo coglie di sorpresa lungo il percorso. Ha la possibilità di ascoltare il suono dell’oceano o la babele di idiomi che in tutto il suo viaggio non mancheranno di fargli sentire il proprio sostegno.

Il cicloviaggiatore si risveglia quotidianamente in mezzo alla natura, pronto a ripartire verso nuove tappe: traguardi parziali che compongono una grande avventura, fatta di emozioni intense, fatica, grandi risate, paura di non farcela. Ogni mattina, al sorgere del sole, il cicloviaggiatore smonta la sua tenda e ripone minuziosamente le sue cose nelle borse gestendo maniacalmente il poco spazio a disposizione. La sua bicicletta è una vera e propria casa viaggiante su due ruote, efficientemente accessoriata, alimentata solo dalla forza delle sue gambe e dalla sua voglia di spingersi verso quell’orizzonte che appare sempre così lontano.

Durante i miei viaggi in bicicletta mi è capitato di incontrare tantissimi cicloviaggiatori. Una comunità unita da una medesima passione per la natura e per l’avventura, ma decisamente eterogenea per motivazioni personali, caratteristiche fisiche, esperienza, equipaggiamento tecnico e modi di intendere il proprio modo di andare in bicicletta.

Il cicloviaggiatore “granfondista” si sposta rigorosamente in bici da corsa, programma minitour cercando di coprire tanto dislivello e di mantenere alta la media. Perdala sulle strade del Tour, della Vuelta e del Giro, spesso in compagnia, per ripercorrere le gesta dei propri beniamini e sfidarsi a chi arriva prima in vetta. Per riuscire nel suo intento tende a dormire in albergo così da ridurre al minimo il suo bagaglio, generalmente la sola borsa posteriore.

Il cicloviaggiatore solitario, categoria alla quale appartengo, pedala rigorosamente in solitudine per sfidarsi in un viaggio che travalica la mera attività sportiva. Chi appartiene a questa categoria è mosso da ragioni personali e per questo cerca di percorrere distanze medio-lunghe pianificando un itinerario di massima, che continua a modificare giorno dopo giorno. Ama dormire in tenda, anche se, quando il clima si fa umido, non disdegna passare qualche notte in albergo. In questa categoria coesistono bikepacker e cicloturisti tradizionali.

I cicloviaggiatori improvvisati, spesso giovani privi di allenamento, hanno biciclette recuperate in qualche cantina, amano fare tardi la sera e godersi a pieno ogni istante di viaggio. Li vedi lungo la strada sempre sorridenti, affascinati dall’avventura e per nulla spaventati dai possibili imprevisti: dei moderni “beat generation boys” in sella al loro mezzo sgarrupato.

I cicloviaggiatori audaci, dannati del pedale in senso stretto, agognano grandi traguardi noncuranti della fatica, dei percorsi infiniti, delle notti passate in sella, dei micro-sonni a bordo strada o dei bivacchi in mezzo al bosco. In questa categoria si puossono trovare randonneur di ogni specie, chi punta a fare il giro del Mondo, chi rientra a casa da una lunga trasferta lavorativa dall’altra parte del continente, chi raggiunge Capo Nord con una bici a scatto fisso, chi attraversa zone di guerra, chi affronta quattrocento chilometri al giorno e chi punta a colmare dislivelli inimmaginabili per noi umani.

E poi c’è il popolo delle ciclabili, ciclisti che odiano il traffico veicolare e cercano un’esperienza lontana dallo stress. Le medie e i chilometri percorsi sono del tutto secondari rispetto alla possibilità di visitare luoghi di interesse artistico-culturale. In questa categoria possiamo trovare persone con una profondissima conoscenza del territorio, dei veri e propri atlanti umani, oltre che molte famiglie e persone che si avvicinano al cicloturismo per la prima volta. 

C’è, chi viaggia per beneficenza, chi per ritrovarsi, chi per scommessa, chi per la semplice voglia di stare in compagnia, chi per amore. Una pluralità di stili di cicloviaggio impossibile da raccontare. Dopo tutto non è importante il come o il perché. Come scriveva Kerouac: “Qual è la tua strada amico?… la strada del santo, la strada del pazzo, la strada dell’arcobaleno, la strada dell’imbecille, qualsiasi strada. È una strada in tutte le direzioni per tutti gli uomini in tutti i modi”.

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