Ci sono delle volte in cui la voglia di andare in bicicletta prende il sopravvento su tutto. Se stai leggendo questo blog probabilmente sai perfettamente di cosa sto parlando. Un pensiero sottile – quasi impercettibile – che piano piano pervade la mente in un’anonima giornata lavorativa. Non riesci a concentrarti su ciò che stai facendo. Fissi il muro di fronte alla tua postazione immaginandoti immerso nella natura a pedalare felice sotto un tiepido sole. Come in un simulatore, macini chilometri dentro la tua testa. Digiti compulsivamente i tasti del tuo telefono, calcolando dislivelli e simulando nuovi percorsi con infinite deviazioni. Daresti qualsiasi cosa per fuggire immantinente in sella al tuo mezzo a pedali, ma la disciplina del lavoro ti impone di attendere con ansia la fine del turno o l’arrivo del weekend per poter finalmente dare sfogo a questo bisogno primordiale,
Un impeto irrefrenabile, come quello che qualche giorno fa deve aver provato quell’agente zelante che, in una tranquilla serata milanese, è corso verso Cesare gridando affannato.
“Mi dia la sua bici, sto inseguendo un fuggitivo”.
“Ah, come nei film?”.
“Si, proprio come nei film!”.
Giusto il tempo di capire cosa stesse succedendo e lo sguardo attonito del povero Cesare ha visto la sua bici allontanarsi inesorabilmente lungo il viale.
Era una MTB con evidenti problemi ai freni, il cui blu del telaio si faceva spazio tra la ruggine accumulata negli anni passati in cantina. Il classico manufatto di fine anni Ottanta, solido e pesante come l’acciaio di Stalingrado. Un mezzo dal valore affettivo e per nulla adatto agli inseguimenti urbani, ma come noi ciclisti ben sappiamo, quando la voglia di pedalare diventa travolgente, contano solo le gambe e il cuore.
Per onore di cronaca è bene segnalare che, dopo alcune chiamate surreali al 112 per sincerarsi che tutto ciò fosse legittimo, la bicicletta di Cesare è tornata prontamente a casa: l’integrità morale della “Benemerita” non può certo essere scalfita dalla trascendentale passione per il ciclismo di un suo appartenente.
Come quell’agente zelante che, in una fredda serata d’inverno ricorreva un fuggitivo in sella a una bicicletta tecnicamente scippata a un attonito passante, anche io di recente sono stato rapito dalla stessa irrefrenabile voglia di pedalare. Ero a Barcellona per delle riunioni di lavoro, quando per via di un errore nella definizione dell’agenda, mi sono ritrovato una mattinata libera prima della mia ripartenza verso casa.
Appena scoperto il problema, ovviamente dopo essermi arrabbiato con gli organizzatori – non vorrei mai che si dicesse che non avessi voglia di lavorare – un pensiero impercettibile si è fatto strada nella mia mente. Mi rendo subito conto, però, che si tratta di una cosa senza senso. “Come diavolo faccio ad andare in bici? Non ho nemmeno i vestiti!” mi dico tra me e me, liquidando subito l’idea.
Ma quando l’istinto decide che una cosa deve essere fatta è del tutto vano contrapporgli la lucida razionalità. Passo così la serata a cercare negozi nella zona che potessero noleggiarmi una bicicletta da corsa per la mattina successiva. Vengo scoraggiato dai prezzi proibitivi e dal fatto che molti di questi chiedono una prenotazione anticipata.
Trovo un piccolo negozio che ha a disposizione alcune city bike a prezzi accessibili. Non sarà il mezzo più adatto al percorso che ho in mente – penso – ma essendo vestito da lavoro, forse riuscirò a dare meno nell’occhio. Il problema vero, però, è dato dalle tempistiche. Purtroppo, come la maggior parte dei negozi in Spagna, il noleggio apre solo alle 10 e io devo tassativamente essere in aeroporto entro le 15. In pratica ho poco più di tre ore per fare il mio giro, mangiare qualcosa velocemente, tornare in albergo, prendere i mezzi per raggiungere il mio volo: basta un imprevisto o una semplice foratura e sono fregato.
Monto in sella non prima delle 10.30, praticamente ancora orario di punta, ritrovandomi subito lungo la Diagonal, una delle arterie principali di Barcellona. Nonostante questo, rimango sorpreso dalla totale assenza di traffico. Ho ancora nella mente il caos di queste stesse strade solo pochi anni fa. Oggi, invece, una serie di politiche per la mobilità, con “zone 30” e “zone 20”, mezzi pubblici capillari, piste ciclabili, aree pedonali e forti disincentivi economici all’utilizzo dell’auto privata hanno dato vita a una profondissima trasformazione urbana.
È una mattina di metà gennaio, con l’inverno che sta finalmente facendosi sentire su mezza Europa, ma Barcellona sembra non curarsene. Quattordici gradi, sole pieno e una leggera brezza di mare che spazza via l’umidità rendendo il cielo azzurro intenso.
Risalgo l’Avenue de Vallcarca fino a giungere ai piedi della Serra de Collserola. Da qui mi aspettano 6 chilometri di salita per giungere sulla vetta del monte Tibidabo, 512 metri slm, dove si affaccia la chiesa del Sacro Cuore.
La strada per raggiungere la cima ha pendenze dolci e costanti e offre degli scorci unici. Attorno a me solamente il verde dei cespugli e la terra rossa che fanno da contraltare ai colori tenui della città sottostante. Sullo sfondo il blu intenso del mare nel quale si riflette il sole intenso di metà mattina.
Pedalo lungo la salita, con lo stesso sguardo che hanno i bambini quando vedono per la prima volta la neve. Nel cuore l’emozione intensa di quei giovani innamorati che “fanno forca” a scuola per concedersi una mattinata di passione: sia io che loro, in fondo, stiamo vivendo una piccola avventura rubata a una monotona giornata di doveri.
Prima di arrivare alla chiesa che sovrasta la collina, ingaggio una mini battaglia con un biker che non deve aver preso bene il fatto di essere stato superato da un individuo in city bike vestito da ufficio.
Scendendo, invece che ributtarmi direttamente nel cuore della città, faccio una breve deviazione e mi ritrovo ad affrontare alcuni chilometri di sterrato: una strada ampia dapprima in leggera salita e successivamente con alcuni tornanti in contropendenza. Proprio lungo questo tratto in discesa, mi affianca un altro biker visivamente divertito nel vedermi impostare le curve in mezzo ai boschi in quello strano setup. “Ehi Amigo!”.
Torno sull’asfalto e punto in direzione Badalona, attraversando la trafficatissima periferia di Barcellona, dove raggiungo finalmente il lungomare e percorro gli ultimi 15 km fino alla spiaggia di Barcelloneta. Il vento nel frattempo si è alzato e le onde che si stagliano sulla spiaggia offrono uno spettacolo emozionante. Mi sdraio sulla sabbia e mi concedo finalmente un paio di birre prima di fiondarmi a riportare la bici al negozio. Alla fine, è talmente tardi che per prendere l’aereo mi tocca chiamare un taxi.






