Andare a vedere le gare di ciclismo dal vivo è un vero e proprio atto di fede: un rito laico e popolare che si tramanda immutato da generazioni. Centinaia di persone che si radunano spontaneamente a bordo delle strade come tanti pellegrini in attesa dell’apparizione di un santo. Ore e ore appostati – non importa che ci sia il sole cocente o la pioggia battente – alla ricerca del punto d’osservazione perfetto.
Passione irrazionale. È difficile far capire a chi non c’è mai stato quale sia l’emozione che si prova ad essere in quel luogo e in quel preciso istante. In fondo si tratta solo di un attimo. Pochi secondi per scorgere in mezzo ai tanti volti trasfigurati dalla fatica il proprio atleta preferito. Giusto il tempo di un “Alé” gridato con tutto il fiato che si ha nei polmoni e il gruppo inesorabilmente scompare dietro la curva.
Ma andare a vedere una corsa a bordo strada non è soltanto questo. È l’emozione unica che si prova a percorrere – a piedi o ancora meglio se in sella a una bicicletta – quelle strade che nel giro di pochi minuti saranno teatro dello scontro tra i propri beniamini. Come se un amante del calcio potesse palleggiare indisturbato sul terreno di San Siro poco prima di un derby.
E poi c’è la lunga attesa. Quell’attesa leopardiana che è essa stessa la vera essenza della felicità. In quel lungo lasso di tempo che precede il passaggio dei corridori può succedere di tutto. Tra una grigliata improvvisata, cori da stadio e fiumi di birra, ci si confronta con gli altri spettatori, si fantastica sui possibili scenari tattici e, specialmente in cima alle montagne dove i cellulari fanno fatica a prendere, iniziano a correre “voci incontrollate e pazzesche”. Come nel Secondo tragico Fantozzi durante la proiezione della corazzata Potemkin, si inizia a sentire di fantomatiche fughe a oltre venti minuti di vantaggio e si fantastica sulle possibili crisi di dei vari protagonisti attesi. Un brusio di fondo che si interrompe solo quando all’orizzonte appare l’elicottero delle riprese, inequivocabile presagio dell’imminente passaggio della carovana.
Passano le moto dell’organizzazione. Ancora qualche istante di silenzio e dal fondo della strada parte un boato che in pochi secondi ti travolge. Senza accorgertene, come un bimbo a Natale, inizi a saltare, a gridare e a battere le mani. Dal primo all’ultimo, nei loro abiti colorati e in sella alle loro biciclette luccicanti, sfilano gli atleti. In quel preciso istante non sei più un’individualità a sé stante, ma entri a fare parte di un tutto. Non sei più un semplice spettatore: sei parte della corsa.




