“Riportando tutto a casa”: il mio ciclioviaggio da Torino a La Coruña

Per raccontare un viaggio così intenso è necessario partire dall’epilogo, quando una decina di chilometri prima di raggiungere la spiaggia di La Coruña, con gli occhi lucidi dall’emozione riavvolgevo il nastro della mia avventura pensando a cosa mi stessi realmente riportando a casa.

Sono gli ultimi colpi di pedale di un viaggio di più di duemila chilometri e nella testa ho un mix di emozioni contrastanti. Ripenso alla brutta caduta di luglio e alle conseguenti paure della vigilia. Sono fermo al semaforo e osservo orgoglioso la mia eterna Cinelli capace di portarmi al traguardo anche questa volta, nonostante gli anni che passano e i 18 kg di bagagli: dopo questa avventura, forse, si merita anche lei un lungo riposo.

Osservo le onde del mare che si infrangono sulla scogliera e mi tornano alla mente le immagini della partenza dal Motovelodromo di Torino. Quattro chiacchiere in compagnia di alcuni amici venuti a farmi coraggio e la certezza – confermata appena qualche chilometro più avanti, lungo le dure rampe del Moncenisio – di quanto fossi impreparato per tutto questo.

Supero il ponte che dà sull’oceano e con il vento che mi fa sbandare, ripenso alla immensità della vetta del Galibier, raggiunta dopo quasi quattro ore di scalata e rivivo la durezza dell’Izoard, ricordandomi di quel maledetto 28 che si rifiutava di entrare. Rivedo nitidamente la torretta dell’osservatorio astronomico che mi scruta in lontananza mentre arranco su quella terribile, ma al contempo meravigliosa, pietraia chiamata Mont Ventoux. Mi torna alla mente la delusione per le condizioni meteo che mi hanno suggerito di non affrontare i Pirenei e sorrido ripensando a quando, per rimediare, ho deciso di deviare per quella follia chiamata Anglirù, con la sua nebbia fittissima e quello scollinamento appena due metri sopra le nuvole.

Continuo a pedalare e ripenso ai momenti difficili – per fortuna davvero pochi – come quel giorno in cui dovevo raggiungere Carcassonne in una tappa all’apparenza facile, ma il forte vento contrario mi sussurrava di fare inversione e ritornare a casa. Ripenso agli ultimi giorni sempre sotto la pioggia, ai miei vestiti che non fanno mai in tempo ad asciugarsi e a quella maledetta puntura di vespa.

Scorgo il cartello con scritto La Coruña e, mentre non riesco più a trattenere le lacrime, la mente volge all’indipendentismo Basco, alle spiagge atlantiche sferzate dal vento, alle discese con la brezza fresca nei capelli e all’oceano come silenzioso compagno di viaggio delle tappe finali.

Sono alle ultime pedalate e non posso fare a meno di ripensare ai tanti compagni di avventura conosciuti per caso lungo la strada. Al pranzo a casa di Shahid, spagnolo trapiantato in Francia, che sogna anche lui di partire per un cicloviaggio; alle chiacchiere con Lele, un avvocato italiano da poco entrato nel mondo dei “Dannati del pedale”; ai tanti chilometri macinati controvento insieme a Pete; ad Adam, l’australiano che ogni anno sconfigge l’inverno.

E, proprio mentre rifletto sul fatto che se non fosse stato per questi attimi di calore del tutto casuale forse non sarei arrivato sin qui, raggiungo la spiaggia che si affaccia di fronte al centro storico. Senza nemmeno pensarci inizio a spogliarmi, prendo la rincorsa e mi tuffo nell’acqua gelata dell’Atlantico. “Ce l’ho fatta!”.

È stato un viaggio difficile ma indimenticabile, con 15 tappe e due notti di “riposo” nel delirio della Semana Grande di Bilbao. Piemonte, Rhone Alpes, Provenza, Occitania, Aquitania, Paesi Baschi, Cantabria, Asturie e Galizia: dalle cime delle Alpi, fino alle paludi della Camargue, per poi risalire lungo le colline ai piedi dei Pirenei, incontrare la frenesia delle città Basche e scontrarsi con il vento gelido della costa galiziana.

Molti dicono che in un viaggio del genere si percorra per comunicare con sé stessi. Io, invece, sono convinto che tutto questo sia solo un modo per fuggire dalla complessità della società moderna per ritornare a uno stato primordiale in cui emergono solo i bisogni essenziali. Dove dormire? Cosa mangiare? Quando bere? Che strada fare? Con chi comunicare? Una fuga dall’uomo oeconomicus verso quei bisogni elementari che caratterizzano l’essenza stessa dell’essere umano.

2 pensieri riguardo ““Riportando tutto a casa”: il mio ciclioviaggio da Torino a La Coruña

  1. Scritto molto bello,
    Il moncenisio ha davvero delle rampe eccezionalmente ripide e con 18 kg di bagaglio … Aiuto! … Sono passata lì nell’Alpi4000, ma con poca roba nella borse. Con la mia GBDuro (Gravel-race) avevo 20 kg (bici inclusa) e mi sembrava già molto pesante.
    Il mio blog: https://www.lumacagabi.com/ (qualche resoconto anche in italiano)
    Ciao
    Gabi

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