Noi italiani, si sa, non amiamo particolarmente i francesi. Non si tratta solo di una sana rivalità sportiva, la nostra diffidenza è spesso alimentata da questioni socio-culturali. Dopotutto come potrebbe essere il contrario quando vedi con i tuoi occhi certe aberrazioni? Penso al mio ultimo viaggio da Torino a La Coruña dove ho avuto modo di ammirare i nostri cugini d’Oltralpe mangiare delle tagliatelle alla carbonara da far rabbrividire persino lo chef Ruffi.
Immaginatevi un bel piatto di portata con al centro dell’abbondante pasta incollata su sé stessa, accompagnata con un sugo pallido e sottile a base di panna e pancetta. Per completare l’orrore, immaginate che a lato del piatto vengano consegnati al malcapitato avventore due piccoli contenitori: dell’emmental tritato grossolanamente e – incredibile ma vero – un tuorlo d’uovo crudo pronto per essere tuffato nell’intruglio appena servito. Di fronte a questa immagine non penso serva essere romani per gridare al crimine contro l’umanità.
Eppure, nonostante il nostro odio viscerale acuito da un certo integralismo enogastronomico, se parliamo di bicicletta e nello specifico di ciclabilità, ci tocca ammettere tristemente che i francesi sono di un altro pianeta.
Quando si pedala in territorio francese, infatti, ci si dimentica subito dei clacson molesti degli automobilisti italiani e dei sorpassi a pochi centimetri dalle nostre ruote. In Francia, quasi tutte le strade hanno tracciata una pista ciclabile: da quelle disegnate a bordo strada, che lasciano un po’ di spazio tra chi pedala e il resto del traffico e che comunque hanno il compito per nulla secondario di ricordare all’automobilista che a bordo strada possono esserci dei ciclisti, alle piste protette che costeggiano le arterie stradali più pericolose, fino alle enormi ciclabili a bordo dei canali, sulle quali si può pedalare per centinaia di chilometri lontani dal traffico urbano o alle ciclopedonali che caratterizzano le città d’Oltralpe. Oltre a queste importanti infrastrutture, tutta la Francia è costellata di cartelli che segnalano la presenza di ciclisti sulla strada e ricordano l’importanza di lasciare almeno un metro e mezzo in caso di sorpasso.
Ma la cultura ciclistica non si esaurisce in questi interventi di sicurezza stradale, permeando tutta la società. Per i francesi, infatti, la bici è un vero e proprio oggetto di culto. In ogni città abitualmente attraversata dal Tour de France abbondano i riferimenti al ciclismo e ai suoi grandi campioni del presente e del passato. Maglie gialle, verdi e a pois, monumenti a questo o a quell’altro atleta, steli celebrative: un arcobaleno di immagini e colori che incoronano l’uomo e la donna a pedali. A tutto questo si aggiungono, infine, la miriade di itinerari ciclistici ben segnalati e le iconiche pietre miliari che marchiano le principali salite francesi: piccoli manufatti che ogni chilometro ti ricordano che stai pedalando su un pezzo di storia del ciclismo e ti avvisano su quanto manca alla cima e quale pendenza ti aspetta da qui ai prossimi mille metri.
Mettendo insieme tutti i pezzi del puzzle, compare l’immagine di un paese che ha capito che la biciletta è un enorme volano economico e promuove il ciclismo in pieno stile da grandeur francese. Non è un caso che nonostante in Francia le salite siano decisamente meno dure di quelle italiane o spagnole, il Tour de France sia storicamente diventato la corsa più importante al mondo: un prodotto di interesse globale capace di raccogliere interesse ben oltre i confini del suo inestimabile valore sportivo.
Avevo già pedalato sul suolo francese e sapevo a cosa sarei andato incontro, ma mai mi sarei immaginato di trovare una situazione simile anche nelle regioni atlantiche della Spagna. Rispetto alla Francia, nel nord della Penisola Iberica è tutto meno enfatizzato, ma al contempo il rispetto del ciclista è decisamente concreto. Anche in questo caso abbondano i cartelli che avvisano della presenza di ciclisti sulla strada, ma le principali salite non sono per nulla segnalate. Per arrivare ai piedi dell’Angliru, ad esempio, mi sono più volte perso.
Nelle città non sono presenti particolari riferimenti alla bicicletta e agli eroi del passato, eppure, non c’è un automobilista che si permetterebbe di superarti senza verificare che nella corsia opposta non stia sopraggiungendo un altro veicolo. A tal proposito, può capitare di vedere automobilisti che procedono al tuo passo anche per centinaia di metri e solo quando si sentono realmente sicuri tentano il sorpasso con tutte e quattro le ruote nella corsia opposta, come se la bici occupasse lo spazio di un qualunque mezzo a quattro ruote.
Un mondo parallelo rispetto a quello che siamo abituati a vedere in Italia. Basti pensare che una volta sono stato affiancato da dei ciclisti che con tono molto preoccupato mi hanno chiesto se andasse tutto bene a fronte di un camion che a loro giudizio mi aveva appena “fatto il pelo” quando in realtà mi aveva lasciato almeno 70 centimetri di spazio.
In Spagna del nord, inoltre, abbondando le fontanelle e, soprattutto, sono presenti lungo il territorio diverse colonnine con pompe e altri attrezzi per la riparazione dei nostri mezzi a due ruote. Tutto questo senza enfasi alcuna, senza cartelli e targhe celebrative come nel caso francese, ma con una capillarità che denota un’estrema concretezza.
Concludo segnalando che nel lasciare Bilbao ho incontrato la pista ciclabile più bella che abbia mai visto. Una vera e propria autostrada per le biciclette, larga come una statale a due corsie, che si snoda per almeno 20 chilometri in direzione nord, verso l’Atlantico, da percorrere come alternativa a una pericolosissima carretera National.
Quelle appena menzionate sono racconti sparsi di esperienze vissute e di percezioni avute lungo la strada, che non hanno alcuna pretesa di considerarsi come evidenze scientifiche. È possibile che le mie sensazioni siano sbagliate o che in determinate zone di questi due paesi la situazione sia completamente differente. Detto in altri termini: non per forza “l’erba del vicino deve essere necessariamente sempre la più verde”. Tuttavia, tralasciando la Francia, che per molte cose è un contesto differente dal nostro, se in un paese mediterraneo come la Spagna sono possibili forme di rispetto del ciclista così sostanziali, non vedo perché tutto ciò un giorno non sia possibile anche in Italia, il paese di Coppi e Bartali, di Moser e Saronni, di Gimondi, di Bugno e Chiappucci, di Pantani, di Vincenzo Nibali, solo per citarne alcuni, e in cui il ciclismo ancora oggi rappresenta uno sport di grandissima rilevanza nazionale e un possibile volano per un turismo attento al territorio.
