Un po’ come per Jan Ullrich, la fine della stagione ciclistica per me è sempre stato un momento piuttosto particolare. Attratto dalla vita mondana, infatti, non è mai facile trovare il momento giusto in cui ricominciare a pedalare seriamente.
Mai come quest’anno, tuttavia, forse anche per via di un Autunno che ha scelto di essere proprio molesto, con la pancia dei giorni migliori, la muscolatura ormai rinsecchita e poco meno di cinquecento chilometri percorsi negli ultimi tre mesi, è arrivato inesorabilmente il primo appuntamento stagionale: la Randonnée del Solstizio d’Inverno, con i suoi 195 chilometri da percorrere tutti in notturna attorno al lago di Garda.
Seppur non si trattasse di un’impresa impossibile, devo ammettere che stavo seriamente cercando una scusa per “paccare”. Non mi sentivo tranquillo ad affrontare tutti quei chilometri in una condizione psico-fisica precaria e uno stato di forma da “omino Michelin”, con il serio rischio di rimanere bloccato nel cuore della notte lontano da ogni possibile via di fuga. Ero seriamente combattuto tra l’esigenza di stare tranquillo nella mia confort zone e la necessità diametralmente opposta di provare a invertire la rotta ponendomi una nuova sfida personale.
A togliermi ogni dubbio ci si è messa la malasorte, che ha bussato alla mia porta consegnandomi un violento raffreddore.
È venerdì sera, la vigila dell’evento, e dopo due giorni caratterizzati da una certa fatica nel respirare, non mi resta che comunicare ai miei compagni che purtroppo il giorno successivo sarei rimasto a casa.
Nonostante la decisione presa il pensiero della randonnée mi accompagna per tutta la giornata successiva. Decido di ignorarlo e di sommergerlo con altre attività. Pranzo al sushi con gli amici e poi di corsa in curva allo stadio – novanta minuti di cori, salti, grida e birrette – per vedere la squadra della mia città diventare Campione d’Inverno nel campionato di serie C.
Rientro a casa completamente stanco, infreddolito e con un vago senso di vomito dato dalla grande abbuffata. Eppure, il pensiero alla randonnée non riesce a uscire dalla mia testa, come una voce flebile che cresce di minuto in minuto fino a diventare un urlo incontenibile. Timidamente mi faccio coraggio, preparo la bici, lo zaino e una pasta da mangiare in macchina prima della partenza.
Guido in autostrada per oltre due ore con l’entusiasmo di un bambino. Arrivo ad Arco e ho giusto il tempo di parcheggiare e ritirare la carta di viaggio che è già ora di partire. Fortunatamente, incontro subito i miei compagni – Giuseppe, Eraldo, Roberto, Marco, Federico, Antonio e Giampietro – un gruppo di persone estremamente diverse tra loro – c’è chi ha partecipato alle più dure randonnée d’Europa e chi è alla sua prima esperienza – che sono sicuro saprà darmi tutto il supporto necessario per completare questa avventura.
I primi dieci chilometri sono un calvario. La tosse non mi lascia tregua e le gambe sembrano proprio non voler girare, ma il contesto che mi circonda, mi ripaga di ogni fatica. La prima parte del percorso, infatti, si svolge tutta all’interno di una bellissima ciclovia che si snoda stretta e sinuosa in mezzo alla natura. Oltre centosessanta ciclisti ormai sgranati in piccoli gruppetti, con le loro luci e i loro giubbotti catarifrangenti, danno vita a una lunga processione a pedali che illumina la notte sotto un cielo pieno di stelle. Intorno a noi, un silenzio irreale in cui si può udire solo il fruscio delle nostre ruote e lo stridere sordo dei freni in concomitanza delle curve più insidiose.
Dopo il rientro ad Arco, con il primo ristoro e un breve tratto ciclabile, raggiungiamo la punta del lago di Garda. Da qui in poi il percorso si snoda interamente su strade principali, con alla nostra destra le onde del lago che si infrangono sulla battigia. Percorriamo la Statale Gardesana nel totale silenzio. Il nostro ritmo cresce inesorabilmente mentre intono a noi scorgiamo solo altri piccoli gruppi di ciclisti con cui continuiamo a superarci vicendevolmente in concomitanza delle varie pause. La temperatura è stranamente gradevole e l’atmosfera è talmente magica che inizio a sentirmi bene e preso dall’entusiasmo cerco di dare anche qualche cambio in testa al nostro gruppetto. Una scelta che ben presto inizio a pagare, ma per fortuna siamo vicini al prossimo punto di controllo.
Il check point di Peschiera è situato dentro un McDonald’s e crea un contrasto davvero meraviglioso. Il non-luogo per eccellenza si ritrova, infatti, a ospitare oltre centosessanta anime randagie: abiti variopinti, biciclette illuminate, facce stanche e sporche, che rompono la monotonia di un tranquillo sabato notte.
Il tempo di divorarmi un Big Mc e si riparte. Mancano ancora ottanta chilometri e per me iniziano i problemi. Tra Desenzano e Manerba, infatti, mi ritrovo con i tendini delle caviglie infiammati e un principio di crampi. Sulla salitella che porta a Moniga del Garda il fisico, ma forse ancora di più la testa, inizia a dirmi basta, facendomi perdere le ruote dei miei compagni. Ma è giusto un attimo. Con l’aiuto di Giampietro riprendo le forze e nel giro di pochi chilometri ci ritroviamo a pedala nuovamente a forte velocità sotto un bellissimo tappeto di stelle.
Arriviamo all’ultimo check point, un distributore di benzina in cui ci viene chiesto di indicare sulla carta di viaggio il prezzo del diesel. Soltanto pochi minuti, il tempo di rifiatare, di ricompattarci e siamo pronti a ripartire. Sono quasi le quattro del mattino e mancano ancora 40 chilometri che decidiamo di percorrere a ritmo regolare, senza strappi.
In questa fase relativamente più tranquilla, con il corpo che inizia a chiedersi perché non stia comodamente adagiato in un letto, succede qualcosa di veramente impensato. Come un miraggio, infatti, ci affianca e ci passa a velocità doppia una donna in MTB. Stropiccio gli occhi incredulo: deve essere stata certamente un’allucinazione dovuta alla stanchezza.
L’arrivo ad Arco è un sollievo. La fine di un’avventura collettiva in una notte meravigliosa. Sono le 5.30 del mattino e l’alba ancora è lontana. Pochi minuti per compiacersi di quanto appena fatto, il tempo per una foto di rito, un toast caldo e una veloce birretta ed è il momento di riprendere la macchina e di tornare verso casa.
Quando sono a casa sono appena passate le 9 del mattino. Mi sento distrutto, con i tendini che fanno malissimo e delle occhiaie simili a quelle dello zio Fester della famiglia Addams. Se la paura di fallire non l’avesse fatta da padrone, sarei partito da Milano con i miei compagni, avrei evitato una giornata di bagordi prima della randonnée e tutto sarebbe stato decisamente più facile. Eppure, gettandomi finalmente sul letto, con il sorriso stampato sulla faccia ho capito che forse è stata proprio questa decisione dell’ultimo minuto a rendere questa nottata davvero speciale.









Ciao, bellissimo resoconto.
Sono felice di potermi ritrovare in esso. La donna con la MTB. Mi è venuto da sorridere quando l’ho letto. Molto carino. MTB: Mi vergognavo tanto alla partenza… e Pino mi ha chiesto cosa volessi con questo affare al Solstizio. Ma la MTB era lì per un motivo: dovevo testare la nuova bici almeno una volta prima della nostra avventurSono felice di potermi ritrovare in esso. La donna con la MTB. Mi è venuto da sorridere quando l’ho letto. trada per l’anno 2023. E alla prossima! Sono “lumacagabi” (mio blog: lumacagabi.com)
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