In una bottega ciclistica ad agosto

C’è una ragione per cui questo blog è rimasto inattivo per così tante settimane. Negli ultimi mesi, infatti, sono stato travolto da una vera e propria crisi di mezza età che, come una forza creatrice, mi ha spinto ad assecondare le mie passioni e lascarmi indietro l’insicurezza e il senso di inadeguatezza tipico di chi deve iniziare da zero nuovi percorsi. Una voglia di coltivare la mia Dannazione a pedali, che in pochi mesi mi ha portato a intraprendere un’attività di guida cicloturistica, a collaborare con il portale Cicloweb e a lavorare nei ritagli di tempo in un negozio di biciclette. Tour leader, venditore di biciclette, apprendista meccanico, giornalista alle prime armi. Perché fare male una cosa sola quando puoi farlo su più fronti?

Un insieme di “Mestieri” diversi e tutti ancora da imparare, grazie ai quali ho potuto vivere la bicicletta a 360 gradi e osservare il popolo delle due ruote da una prospettiva per me inedita e decisamente privilegiata: dietro il bancone di un piccolo negozio di biciclette in riva al Naviglio Grande di Milano, dal quale ho potuto scoprire un mondo del tutto inatteso.

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In bici all’aeroporto di Bergamo: si può fare!

Oggi voglio condividere pubblicamente una esperienza positiva che mi è capitata di recente. Nei giorni scorsi avrei dovuto prendere un aereo alle 8.00 da Bergamo. Abitando appena fuori Milano, avevo pianificato di raggiungere l’aeroporto in macchina, in quanto da casa  i mezzi che mi collegano ad Orio al Serio non sono propriamente comodi, specialmente di mattina presto. La sfiga, tuttavia, si è messa di mezzo e il pomeriggio della vigilia il cambio della mia vecchia Mitsubishi Colt, compagna di mille avventure, ha deciso di bloccarsi definitivamente sulla retromarcia. Iattura infinita.

Davanti a me avevo solamente due opzioni: fare una levataccia e prendere i mezzi pubblici o tentare un’operazione circense, guidando all’indietro per tutti i 60 chilometri che mi separano dall’aeroporto. Devo ammettere che ero decisamente preso dallo sconforto. Poi, dopo un bicchiere di vino, mi è venuta l’idea: “ci vado in bici. Sarà comunque una levataccia, ma almeno mi diverto… e poi, facendo un calcolo spannometrico, dovrei metterci giusto mezz’ora in più che con i mezzi”.

Con il passare dell’effetto inebriante del Vermentino, i dubbi e le perplessità hanno iniziato ad addensarsi inesorabilmente nella mia testa. La partenza alle 5 con il buio, il rischio di forare o di avere qualche inconveniente meccanico che mi facesse perdere tempo, le strade trafficate del mattino. Ma soprattutto, quello che mi preoccupava maggiormente era la sicurezza della bici, che sarebbe rimasta due giorni ferma davanti al terminal bergamasco.

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Pedalando in Francia e in Spagna: mondi paralleli dove il rispetto del ciclista è una cosa seria

Noi italiani, si sa, non amiamo particolarmente i francesi. Non si tratta solo di una sana rivalità sportiva, la nostra diffidenza è spesso alimentata da questioni socio-culturali. Dopotutto come potrebbe essere il contrario quando vedi con i tuoi occhi certe aberrazioni? Penso al mio ultimo viaggio da Torino a La Coruña dove ho avuto modo di ammirare i nostri cugini d’Oltralpe mangiare delle tagliatelle alla carbonara da far rabbrividire persino lo chef Ruffi.

Immaginatevi un bel piatto di portata con al centro dell’abbondante pasta incollata su sé stessa, accompagnata con un sugo pallido e sottile a base di panna e pancetta. Per completare l’orrore, immaginate che a lato del piatto vengano consegnati al malcapitato avventore due piccoli contenitori: dell’emmental tritato grossolanamente e – incredibile ma vero – un tuorlo d’uovo crudo pronto per essere tuffato nell’intruglio appena servito. Di fronte a questa immagine non penso serva essere romani per gridare al crimine contro l’umanità.

Eppure, nonostante il nostro odio viscerale acuito da un certo integralismo enogastronomico, se parliamo di bicicletta e nello specifico di ciclabilità, ci tocca ammettere tristemente che i francesi sono di un altro pianeta.

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Date retta a un cretino: usate sempre il casco.

Non avrei mai pensato di dovere scrivere un articolo del genere, ma quando ti risvegli per terra circondato da personale sanitario e un paio di agenti di polizia, con il sangue che ti bagna la testa e senza ricordare nulla dell’accaduto, forse è giunto il momento di fare alcune riflessioni.

Come molti di voi, ho sempre usato il casco solo nelle uscite lunghe in bicicletta, mai nella quotidianità: “tanto in città si va piano”. Quando ero più piccolo, complice l’immaginario degli anni Novanta, le bandane del pirata e la folta chioma di “Re Leone” Cipollini, il casco lo mettevo solo quando il percorso prevedeva dei tratti in discesa. Dopo tutto, cosa vuoi che sia andare a venticinque, trenta all’ora al massimo, per una persona abituata a fare le discese libere con gli sci ai piedi?

Eppure, è proprio quando ci muoviamo spensieratamente in bici per le nostre città che corriamo i rischi maggiori. Il primo nemico è certamente il traffico, che nelle aree urbane è sempre maggiore che nelle tranquille strade che spesso accompagnano le nostre uscite domenicali. Una portiera aperta senza guardare, una macchina che gira senza mettere la freccia, un veicolo che ci sorpassa a forte velocità senza lasciarci il giusto spazio: tutte situazioni che ognuno di noi ha vissuto sulla propria pelle.

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