La magia del ciclismo: quell’emozione unica nell’assistere alle gare dal vivo

Andare a vedere le gare di ciclismo dal vivo è un vero e proprio atto di fede: un rito laico e popolare che si tramanda immutato da generazioni. Centinaia di persone che si radunano spontaneamente a bordo delle strade come tanti pellegrini in attesa dell’apparizione di un santo. Ore e ore appostati – non importa che ci sia il sole cocente o la pioggia battente – alla ricerca del punto d’osservazione perfetto.

Passione irrazionale. È difficile far capire a chi non c’è mai stato quale sia l’emozione che si prova ad essere in quel luogo e in quel preciso istante. In fondo si tratta solo di un attimo. Pochi secondi per scorgere in mezzo ai tanti volti trasfigurati dalla fatica il proprio atleta preferito. Giusto il tempo di un “Alé” gridato con tutto il fiato che si ha nei polmoni e il gruppo inesorabilmente scompare dietro la curva.

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Il derby europeo di cui Milano ha davvero bisogno

Con il passaggio del turno del Milan sul Napoli e dell’Inter sul Benfica, il 2023 regala alla città di Milano il titolo indiscusso di capitale Europea del calcio. Il 10 e il 16 maggio, infatti, il capoluogo lombardo sarà il teatro di un derby storico valevole per l’accesso in finale di Champions League.

A poche ore dalla qualificazione di entrambe le squadre meneghine, con la città ancora in festa per questo traguardo, tuttavia, all’ombra della Madonnina si è consumata l’ennesima tragedia stradale. Questa volta a farne le spese è una giovane donna di 39 anni, travolta in centro da un uomo alla guida di una betoniera. Si tratta della settima persona investita e tragicamente deceduta da inizio anno: un dato agghiacciante per una città che ambisce ad essere una capitale europea.

Nonostante la politica locale si riempia la bocca con la sostenibilità ambientale e con i proclami a favore della ciclabilità, questi terribili fatti di cronaca sono solo la punta dell’iceberg di una città che è ancora lontana dall’essere a misura d’uomo e di bicicletta.

Prima ancora che politico viviamo sulla nostra pelle un enorme problema culturale. Il una città resa invivibile da un modello economico frenetico e da una viabilità auto-centrica del tutto insostenibile, le persone tendono a sfogare la propria frustrazione dopo ore di incolonnamento in macchina su noi ciclisti. Senza scomodare i post di odio che si vedono sui social, chiunque abbia mai pedalato può testimoniare sulle continue manifestazioni di intolleranza ricevute da parte di una consistente parte della popolazione che dall’alto del proprio veicolo si sente del tutto padrona della strada. Colpi di clacson ingiustificati, inviti a spostarsi sui marciapiedi, insulti di varia natura, gesti di sfida, sono una triste realtà per chi percorre su due ruote le strade meneghine.

E quando non siamo vittime di intolleranza è il senso di invisibilità che contraddistingue le nostre pedalate. Perché per quanto possiamo indossare abiti sgargianti, installare luci potenti, guidare con estrema prudenza, quante volte durante le nostre pedalate capita di vedersi tagliare la strada, negare una precedenza o vedersi aprire uno sportello in faccia e notare che l’automobilista in questione non si sia minimamente accorto della nostra presenza?

Ovviamente anche la politica in tutto questo deve assumersi un ruolo importante per contribuire a fermare le stragi sulle nostre strade. Proprio due giorni prima dell’ultimo tragico incidente, centinaia di cittadini si sono radunati sotto palazzo Marino per chiedere una città “in cui si può scegliere di andare al lavoro o a scuola con il mezzo che si vuole, senza aver paura di non tornare a casa. Una città in cui muoversi è sicuro a tutte le età e per persone di qualunque abilità”.

Una manifestazione partecipata e colorata che chiedeva all’amministrazione comunale alcune cose molto chiare come la creazione di una rete di ciclabili d’emergenza per diminuire la pressione del traffico automobilistico, dando anche una risposta efficace al problema della qualità dell’aria in città; l’introduzione di almeno una “domenica a piedi” al mese; la presentazione di un piano operativo per fare di Milano una città a 30 km/h, includendo il contrasto radicale alla sosta irregolare, la pedonalizzazione delle strade davanti a ogni scuola e il rafforzamento a tutte le ore del trasporto pubblico.

Dopo l’ennesima tragedia della strada e all’alba dell’imminente derby di Champions League, penso che questi temi rappresentino la vera partita che Milano necessita di giocare per diventare una capitale europea non solo nel mondo del calcio: una partita estremamente complicata che dobbiamo assolutamente vincere tutti insieme per impedire altre morti sulla strada e trasformare la nostra città in un luogo accogliente per tutti.

L’Inferno del Nord

Questi sei giorni nell’inferno del Nord potrebbero essere raccontati da molteplici angolature e racchiudono un numero infinito di storie e momenti da ricordare. La pioggia sul Carrefour de l’Arbre e il giro d’onore nel velodromo di Rubaix nella prima giornata in bicicletta, le passeggiate tra le vie di Oudenaarde e Brugge ornate a festa per il passaggio della Ronde, la We Ride Flanders insieme ad altri 17.000 ciclisti da tutto il mondo, la bolgia in cima al vecchio Kwaremont prima, durante e dopo la corsa dei professionisti, gli attacchi di Pogacar, che davanti ai nostri occhi sembrava di un altro pianeta rispetto a tutti gli altri.

Ad avere la capacità espressiva si potrebbe provare a narrare questa esperienza attraverso i nostri cinque sensi. Si potrebbero raccontare i colori dei fuochi artificiali e delle luci che illuminavano la nostra partenza all’alba da Brugge, le urla e gli incitamenti dei passanti assiepati su tutti i principali muri fiamminghi, gli odori di carne alla griglia lungo il percorso, il sapore del fango sulla faccia, il formicolio alle mani dato dal freddo, dalla pioggia incessante e dal passaggio ripetuto sulle pietre dei muri e dei settori di pavé.

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Una MiRando decisamente sopra le righe

Una delle tante cose che mi piacciono delle randonnée è che non poi mai fare previsioni su quello che succederà. Così è stato anche alla MiRando di domenica scorsa, 196 km tra il parco Sud e il parco del Ticino. Anche questa volta sono partito da casa in solitaria, immaginando di aggregarmi a qualche gruppetto che avrei incontrato all’inizio del percorso. Purtroppo, però, per via di alcuni problemi con la traccia, dopo pochi metri ero già abbondantemente fuori percorso e ben lontano da tutti gli altri partecipanti. “Stai a vedere che oggi mi tocca fare 200 km in completa solitudine”.

Una volta rientrato sul percorso, lascio la ciclabile del Naviglio Pavese per addentrarmi nelle stradine lungo i campi. Con la coda dell’occhio scorgo dietro di me un ciclista in sella a una gravel. Nemmeno il tempo di accorgermene che mi sorpassa a velocità doppia sparendo dietro la prima curva. “Non esiste che mi faccio staccare da un ragazzo con le ruote tassellate!”.

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In bici a Barcellona: la storia di un agente zelante, di una city bike e di una passione incontrollabile

Ci sono delle volte in cui la voglia di andare in bicicletta prende il sopravvento su tutto. Se stai leggendo questo blog probabilmente sai perfettamente di cosa sto parlando. Un pensiero sottile – quasi impercettibile – che piano piano pervade la mente in un’anonima giornata lavorativa. Non riesci a concentrarti su ciò che stai facendo. Fissi il muro di fronte alla tua postazione immaginandoti immerso nella natura a pedalare felice sotto un tiepido sole. Come in un simulatore, macini chilometri dentro la tua testa. Digiti compulsivamente i tasti del tuo telefono, calcolando dislivelli e simulando nuovi percorsi con infinite deviazioni. Daresti qualsiasi cosa per fuggire immantinente in sella al tuo mezzo a pedali, ma la disciplina del lavoro ti impone di attendere con ansia la fine del turno o l’arrivo del weekend per poter finalmente dare sfogo a questo bisogno primordiale,

Un impeto irrefrenabile, come quello che qualche giorno fa deve aver provato quell’agente zelante che, in una tranquilla serata milanese, è corso verso Cesare gridando affannato.

“Mi dia la sua bici, sto inseguendo un fuggitivo”.

“Ah, come nei film?”.

“Si, proprio come nei film!”.

Giusto il tempo di capire cosa stesse succedendo e lo sguardo attonito del povero Cesare ha visto la sua bici allontanarsi inesorabilmente lungo il viale.

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Pedalare nel silenzio della notte: la rando del Solstizio d’Inverno

Un po’ come per Jan Ullrich, la fine della stagione ciclistica per me è sempre stato un momento piuttosto particolare. Attratto dalla vita mondana, infatti, non è mai facile trovare il momento giusto in cui ricominciare a pedalare seriamente.

Mai come quest’anno, tuttavia, forse anche per via di un Autunno che ha scelto di essere proprio molesto, con la pancia dei giorni migliori, la muscolatura ormai rinsecchita e poco meno di cinquecento chilometri percorsi negli ultimi tre mesi, è arrivato inesorabilmente il primo appuntamento stagionale: la Randonnée del Solstizio d’Inverno, con i suoi 195 chilometri da percorrere tutti in notturna attorno al lago di Garda.

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È ora di rompere il silenzio

Quando ho dato vita a questo blog ho pensato anche a lui, Davide Rebellin, 51 anni, spinto da una passione talmente grande da diventare una vera dannazione. Una vocazione verso la bicicletta che non può essere spiegata con la lente di ingrandimento della fredda razionalità. Una passione oltre il senso comune, così travolgente da imporgli una vita di sacrificio e impegno per continuare stagione dopo stagione a pedalare nel gruppo, lottando con la stessa grinta di quando era ragazzino in mezzo ad atleti di trent’anni più giovani. Un esempio per tutti. Un inno alla Bellezza irrazionale di questo sport.

In queste poche righe sarebbe irrispettoso avere la pretesa di rendere omaggio a un campione nella vita, ancor prima che nello sport, il cui destino beffardo ha negato il diritto a vivere finalmente la sua passione in maniera più rilassata.

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Dentro il Lombardia: l’ultima corsa dello Squalo

Andare a vedere le gare di ciclismo dal vivo è un atto di fede: un rito laico e popolare che si tramanda da generazioni. Centinaia di persone che si radunano a bordo delle strade come tanti pellegrini in attesa di quel brivido fugace al passaggio dei propri idoli a due ruote.

Passione irrazionale. È difficile far capire a chi non c’è mai stato quale sia l’emozione che si prova ad essere in quel luogo e in quel preciso istante. In fondo si tratta solo di un attimo: un fugace tremito di pura passione. Pochi secondi per scorgere in mezzo ai tanti volti trasfigurati dalla fatica il proprio atleta preferito. Giusto il tempo di un “Alé” gridato con tutto il fiato che si ha nei polmoni e il gruppo inesorabilmente scompare dietro la curva.

Ma andare a vedere una corsa a bordo strada non è soltanto questo. È l’emozione unica che si prova a risalire – a piedi o ancora meglio se in sella a una bicicletta – quelle strade che nel giro di pochi minuti saranno teatro dello scontro tra i propri beniamini. Come se un amante del calcio potesse palleggiare indisturbato sul terreno di San Siro poco prima di un derby.

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