Oltre ogni tuo limite: il mondo delle randonnée

Ho scoperto il mondo delle randonnée per puro caso, come nei più classici romanzi d’amore. È bastato un invito disinteressato durante un corso di spinning: “Ehi! Che fai questa domenica? La mia società organizza un giretto in bici, si va sulle colline dell’Oltrepò. A metà percorso c’è un bel ristoro con vino e salame”. Poche e semplici parole di chi sa come motivare quelle persone che, come me, coniugano la grande passione per la bicicletta con un’innata fascinazione per l’enogastronomia.

Mi ritrovai, così, quasi per caso in partenza per la mia prima randonnée. “Tra Riso e Vino”, una pedalata di 220 chilometri con partenza la mattina presto dalla periferia di Miano, diversi chilometri di pianura per poi giungere nelle colline che circondano la zona tra Pavia e Voghera, dove si attraversa un interminabile saliscendi di quasi duemila metri di dislivello e infine imboccare il tratto di pianura Padana che riporta verso il capoluogo lombardo.

Proprio nella parte più impegnativa del percorso, mentre insieme a un compagno di avventura precettato per l’occasione ci interrogavamo sulle nostre reali possibilità di tagliare il traguardo, un ragazzo di origine siciliana ha iniziato ad attaccare bottone. Parlava con un accento marcato di “brevetti” e ci raccontava di pedalate da quattrocento, seicento, ma anche mille e più chilometri, della possibilità di entrare a far parte della Nazionale italiana di randonnée e soprattutto della Parigi Brest Parigi: una sorta di totem per questo ambiente con i suoi 1200 chilometri da percorrere in meno di 90 ore. Con voce ferma e senza fiatone, nemmeno nei momenti dove la strada mostrava le sue pendenze più arcigne, il nostro Cicerone ci raccontava che, come per le olimpiadi, questa manifestazione internazionale si svolge ogni quattro anni e che data la forte richiesta di partecipazione, per iscriversi occorre superare delle prove di qualificazione. “90 ore e 1200 chilometri? Ma non è possibile… Come si può pedalare per così tanto tempo?” Per noi che ritenevamo i 220 chilometri di quel giorno come un traguardo quasi insormontabili, questi racconti ci sembravano incomprensibili.

Eppure, tornando a casa quelle strane parole continuavano a ronzarmi nella testa. Iniziai a informarmi su internet e scoprii subito un mondo inaspettato fatto di centinaia di manifestazioni organizzate ogni anno su tutto il territorio italiano, avventure epiche, lunghe notti in bicicletta. Passai le giornate a cercare blog e guardare video e, nonostante fosse una cosa che avevo appena scoperto, l’idea di essere parte di quell’ambiente misterioso e partecipare alla Parigi Brest Parigi con la maglia della Nazionale insieme a ciclisti di tutto il mondo mi sembrava un sogno agognato da una vita intera.

Quell’invito nato per caso a latere di un corso di spinning aveva fatto nascere un amore ancora tutto da scoprire. Da quel momento in avanti mi sono iscritto ad Audax Randonneur Italia, l’associazione che organizza e regola le tante randonnée che si svolgono in Italia, e ho partecipato ad alcune manifestazioni di diversa lunghezza. Duecento, trecento e quattrocento chilometri: distanze crescenti per mettermi alla prova e tentare di ottenere i requisiti per partecipare Parigi Brest Parigi del 2023. Tutte esperienze tremendamente faticose, fatte di pedalate partite in solitaria e diventate presto esperienze collettive.

In ogni randonnée, infatti, la fatica e la lunga distanza spingono persone sconosciute a pedalare insieme al solo scopo di raggiungere il traguardo entro il tempo massimo. C’è chi ha più esperienza che scandisce il passo e redarguisce chi strappa “guardate la luna, non il dito”. Ci sono gli “scalatori” che aspettano in cima gli altri accogliendoli con incitamenti. C’è chi è poco a suo agio quando la strada sale, che si mette a disposizione del gruppo appena le pendenze si fanno più dolci. Infine, c’è chi fa sempre tanta fatica e nonostante l’indisponibilità a tirare non fa mancare il suo contributo regalando sorrisi e racconti di precedenti avventure. Il popolo delle randonnée, in altre parole, non è altro che un insieme di individualità variegate per esperienza e caratteristiche fisiche che con il passare dei chilometri diventa una comunità egualitaria guidata dal principio “ognuno secondo le sue capacità a ognuno secondo i suoi bisogni”.

Si procede, così, di buon passo ma senza fretta per decine di ore. “Spirito randagio: né forte, né piano, ma sempre lontano!”. Ci si aspetta e ci si ferma spesso a mangiare nei bar che si snodano lungo il percorso. Si attende insieme con timore l’arrivo della notte, che avvolge tutti con il suo silenzio, diventando il vero banco di prova per ogni randonneur. E con l’incedere dei chilometri per farti coraggio ti ripeti continuamente “fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene” un po’ come quell’uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Ma se per il “tizio” rappresentato da Mathieu Kassovitz nella scena iniziale dell’Odio il problema non era la caduta ma l’atterraggio, nel tuo caso ti attende la gioia del traguardo e quel sorriso stanco di chi sa di aver superato la propria paura di non farcela.

Personalmente non so se riuscirò mai a tagliare il traguardo della Parigi Brest Parigi e non so nemmeno se sarò in grado di prendervi parte. Sono però consapevole di aver trovato un modo diverso di fare ciclismo: un ciclismo che non guarda alla prestazione agonistica e che, pur non stilando classifiche, ti permette di alzare l’asticella e portarti oltre ogni tuo limite, facendo leva non solo su te stesso, ma sull’energia degli altri ciclisti che in una randonnée non sono mai avversari ma tuoi compagni di avventura.

Lascia un commento